Proteggere: Alluvione di Firenze

Data:
1 Settembre 2023

Tra il 3 e il 4 novembre 1966 l’acqua dimostrò, ancora una volta, la sua forza e dirompenza come mai aveva fatto prima nel territorio fiorentino, sconvolgendo le vite non solo degli abitanti della zona, ma dell’intero paese. In 48 ore quello che pareva un semplice maltempo, si trasformò in una catastrofe, generando una corsa umanitaria da tutta Italia di giovani desiderosi di aiutare. Questa è la storia dell’alluvione di Firenze e degli angeli del fango.

Sono le 8 del mattino del 3 novembre 1966 e su Firenze cade una pioggia battente. Da più di 24 ore il capoluogo toscano e la sua provincia sono flagellati da un nubifragio che ha portato il livello dell’Arno a crescere paurosamente, fino a raggiungere le imposte delle arcate di Ponte Vecchio.

La sera, all’interno di una sala privata dell’Hotel Minerva in Piazza di Santa Maria Novella, si riuniscono alcuni consiglieri comunali, assessori e il sindaco Piero Bargellini per discutere questioni politiche. Tuttavia, l’attenzione non sembra rivolta all’Arno. Bargellini, riferendosi alla pioggia incessante, scherza dicendo: «Firenze pulita va bene, ma così mi pare che si esageri».

Poco dopo si reca con il Prefetto Aldo Buoncristiano sul Ponte Vecchio, temendo il peggio per la città, mentre la popolazione è completamente inconsapevole di quello che stava per accadere.

Il livello dell’Arno cresce, cresce a dismisura, non è normale. A mezzanotte tra il 3 e il 4 novembre inizia la sua opera di devastazione, tracimando, ovvero fuoriuscendo dagli argini artificiali nel Casentino e nel Valdarno Superiore, a pochi chilometri da Firenze.

In diverse zone della Toscana, l’acqua provoca frane e smottamenti, causando l’esondazione anche di altri fiumi.

Quando la piena raggiunge il capoluogo toscano lo fa con una furia incontenibile: un’onda alta tre metri percorre le vie della città alla velocità di 60 km orari; dai lungarni, trasformati in un unico fiume, la melma si riversa ovunque travolgendo ogni cosa, penetrando abitazioni, chiese, edifici storici. Nel quartiere di Santa Croce, in via dei Neri, una targa ricorda il punto più alto raggiunto dalla piena: 4 metri e 92 centimetri.
La città fu invasa da 250 milioni di metri cubi d’acqua e 600 mila di fango.

È il 6 novembre 1966, 2 giorni dopo l’inondazione: l’Arno si ritira. Abbandona Firenze alla sua disperazione, sepolta sotto tonnellate di fango.
Le forze dell’ordine, i Vigili del Fuoco, tutti corrono in soccorso di Firenze. I soli Vigili del Fuoco, nella notte tra il 4 e il 5 novembre, mettono in salvo migliaia di persone, portando a termine oltre 9 mila interventi.
Terminati i primi soccorsi, con grande difficoltà, ci si concentra sulla distribuzione di viveri, medicinali e mangime per il bestiame. L’acqua non è potabile e massicci interventi vengono fatti per il ripristino della rete idrica. Le Forze Armate, seppur numerose, si trovano a operare prive di un fondamentale coordinamento.
Per la prima volta nel Paese, si avverte con forza l’assenza di un Sistema nazionale capace non solo di gestire l’emergenza con efficacia, ma anche di sorvegliare il territorio in modo razionale mediante attività continue di previsione e prevenzione.

Fu provvidenziale l’arrivo nelle zone colpite di migliaia di giovani da tutta Italia e da molti Paesi esteri, armati di grande volontà e badili.
Persone di tutte le età, provenienti da diversi contesti sociali e culturali, convergono su Firenze. Il loro obiettivo è rimuovere il fango, fornire acqua e viveri, e salvare opere d’arte e libri danneggiati dall’inondazione.

Giovanni Grazzini, giornalista allora per il Corriere della Sera, il 10 novembre scrisse un articolo intitolato “Si calano nel buio della melma”:

“Chi viene anche il più cinico, anche il più torpido, capisce subito tre cose: che le perdite sono spaventose, che per restituire a Firenze un volto luminoso e il benessere occorreranno miliardi e forse decenni, ma anche che d’ora innanzi non sarà più permesso a nessuno fare dei sarcasmi sui giovani beats. Perché questa stessa gioventù che sino a ieri ha attirato le vostre ironie, oggi ha dato, a Firenze, un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo per la salvezza di un bene comune. Onore ai beats, onore agli angeli del fango”.

Nelle prime ore successive alla catastrofe, i soccorsi provengono principalmente dagli “angeli del fango” e dalle truppe presenti in città. Solo dopo sei giorni dall’alluvione, il governo riesce a implementare un sistema di soccorso strutturato.

La tragedia di Firenze accende i riflettori su un problema a cui lo Stato dovette trovare una soluzione che arriva con la Legge 996 dell’8 dicembre 1970, 4 anni più tardi, denominata “Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità” – che delinea un quadro complessivo di interventi di protezione civile.

Per la prima volta, l’importanza del volontariato in protezione civile viene ufficialmente riconosciuta. Il Ministero dell’Interno, attraverso il corpo dei Vigili del Fuoco, prende iniziativa per formare, preparare e fornire le attrezzature ai cittadini che offrono volontariamente il loro supporto.

Questo è solo l’inizio. La legge, pur definendo per la prima volta in Italia il settore degli interventi di protezione civile, ne limitava l’ambito alle sole attività di soccorso ed assistenza, allocando conseguentemente le funzioni operative esclusivamente al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Pur sempre qualcosa, ma altre grandi trasformazioni erano in arrivo, purtroppo, a causa di altre tragedie.

Ultimo aggiornamento

1 Settembre 2023, 07:19