Proteggere: Terremoto d’Irpinia
Data:
15 Settembre 2023
«Sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo. Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari.
[…] Perché un appello io voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica, un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo cioè che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli che mai dimenticherà, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutti gli italiani e le italiane devono sentirsi mobilitati per andare in aiuto di questi loro fratelli colpiti da questa sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi».
Così il Presidente della Repubblica Sandro Pertini inizia e termina il suo discorso del 25 novembre 1980 a seguito dell’evento che, alle 19.34 del 23 novembre 1980, sconvolse e devastò il Sud Italia da una tra le più pesanti tragedie della storia del nostro Paese: il terremoto di Irpinia.
Erano le 19:34 del 23 novembre 1980 quando la tranquilla vita di migliaia di persone fu sconvolta da una terra che trema e non fa sconti. Pochi minuti dopo la scossa di magnitudo 6.9 della scala Richter (X grado della scala Mercalli) dalla fontana della Piazza Umberto I a Giffoni Valle Piana, in provincia di Salerno, dove, in una sala cinematografica vicino si stava proiettando “Lo squalo”, iniziò a sgorgare acqua marrone scura.
Una scossa di magnitudo 6.9 equivale all’energia rilasciata da circa 56 mila miliardi di kg di TNT, 1000 volte l’energia rilasciata dalla bomba atomica di Hiroshima. La scossa durò 90 secondi a cui seguirono numerosissime scosse di assestamento per i giorni a venire.
La scossa fu fortissima in Campania e Basilicata, ma fu percepita da praticamente mezza Italia: dalla Sicilia orientale alla Pianura Padana. Le principali fonti dell’epoca parlano di 2.914 morti, 8.848 feriti e più di 280.000 persone sfollate.
I comuni colpiti dal sisma furono 687, 542 in Campania, 131 in Basilicata e 14 in Puglia: l’8,5% degli allora 8.086 comuni italiani.
L’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, corso nelle successive 48 ore sul posto per valutare la gravità della situazione, polemizzò dicendo:
«Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi»
Le cause del ritardo nell’intervento di soccorso furono molteplici: l’accesso ai luoghi dell’entroterra risultò complesso a causa dell’isolamento geografico delle regioni interessate e del danneggiamento di ponti e vie principali. L’inadeguatezza delle infrastrutture, come i sistemi di energia elettrica e comunicazioni radio, ostacolò le comunicazioni a lunga distanza. Ma fu soprattutto la mancanza di una struttura organizzata di Protezione Civile a causare il maggior problema.
Ci fu un personaggio chiave in questa vicenda. Si chiama Giuseppe Zamberletti. Viene oggi ricordato come il padre fondatore della moderna protezione civile italiana. A Zamberletti si attribuisce la fondazione del Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio, nonché l’innovazione nel differenziare le attività di previsione e prevenzione rispetto al soccorso. Ha strutturato il servizio nazionale nelle sue diverse aree, riconoscendo l’importanza degli enti locali e del volontariato. Inoltre, ha dato impulso alla riforma del settore, che si concluderà con l’emanazione della legge 225 del 24 febbraio 1992.
Ma che cosa centra in tutta questa storia?
Zamberletti fu già coinvolto nella gestione del terremoto in Friuli nel 1976 come Commissario del Governo incaricato del coordinamento dei soccorsi – una sorta di capo del Dipartimento di Protezione Civile attuale. Lo stesso incarico gli viene affidato per l’emergenza Irpinia 4 anni più tardi.
In Friuli Venezia Giulia, a seguito del terremoto, vennero immediatamente coinvolti il governo regionale e i sindaci dei comuni colpiti che lavorarono in stretto contatto con Zamberletti. Il modello Zamberletti era semplice: vennero istituiti i “centri operativi” con l’obiettivo di creare in ciascun comune della zona colpita un organismo direttivo composto dai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche e private, sotto la presidenza del Sindaco, con il potere di decidere sulle operazioni di soccorso, conoscendo le caratteristiche del territorio e le sue risorse.
Prima dell’intervento di Zamberletti, la gestione del terremoto dell’Irpinia invece risulta fallimentare. I primi soccorsi sono caratterizzati dalla totale mancanza di coordinamento: volontari, strutture regionali e autonomie locali si mobilitano spontaneamente senza aver avuto indicazioni e precisi obiettivi operativi dal Ministero dell’Interno, anche spronati dalla chiamata all’azione del Presidente Sandro Pertini. Dopo il caos dei primi tre giorni, il governo interviene nominando il Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti, che riesce a riorganizzare i soccorsi e a dialogare con i Sindaci, proprio come fece durante l’emergenza in Friuli.
Ricorda Zamberletti sul terremoto dell’Irpinia in “Se la terra trema”, edito dal Sole 24 ore: “Sorvolando la zona terremotata, quello che mi colpì in modo angoscioso fu constatare che in molti paesi non si vedeva nessuno impegnato a prestare soccorso. Apparve chiaro quanto costasse la mancanza di una organizzazione permanente di protezione civile.”
A seguito di questo evento catastrofico, la macchina dei soccorsi mostra tutti i suoi limiti: cresce la consapevolezza che per affrontare le calamità, è essenziale avere preventivamente visualizzato, analizzato e “simulato” la casistica. L’importanza di adeguare gli interventi basandosi su scenari predefiniti e misure preventive già implementate diventa centrale. Si inizia a concepire la protezione civile non solo in termini di intervento d’emergenza, ma anche di previsione e prevenzione.
È giunto il momento per una trasformazione profonda.
1981: la macchina burocratica finalmente si muove. Passa la legge 996 del 1970 che, tra le altre cose, individua gli organi di protezione civile ordinari disciplinando le rispettive competenze. La Protezione Civile viene definita compito primario dello Stato. Si comincia a parlare di prevenzione degli eventi calamitosi, attraverso l’individuazione e lo studio delle loro cause. Nel 1982 viene istituito il Dipartimento di Protezione Civile nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri e viene formalizzata la figura del Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile. Ma la svolta definitiva arriva con la Legge n. 225 del 1992 e la nascita del Servizio Nazionale della Protezione Civile, che ha il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi”, individuando quindi le 4 attività di Protezione Civile: previsione e prevenzione, soccorso e superamento dell’emergenza. Ma non è finita qui. La legge 225 introdusse qualcosa di incredibilmente significativo per la storia della Protezione Civile negli anni a venire: la partecipazione al Servizio Nazionale di Protezione Civile del volontariato.
Nasce così, in 12 anni, il volontariato di Protezione Civile. Volontariato senza il quale tante emergenze a venire avrebbero avuto sorti decisamente più tragiche.
“La mia ambizione è dare al nostro Paese un sistema efficiente e moderno di Protezione Civile cui le altre nazioni guardino con rispetto e ammirazione”
Zamberletti muore il 26 gennaio 2019 a 87 anni, ma il suo contributo è stato talmente immenso da rimanere impresso nella storia del nostro Paese.
Ultimo aggiornamento
5 Ottobre 2023, 12:09