Incidente di vermicino

Data:
29 Settembre 2023

È la sera di mercoledì 10 giugno 1981. La famiglia Rampi è in vacanza nella seconda casa, in una località chiamata Selvotta, nel comune di Frascati in priovincia di Roma, in prossimità della località di Vermicino. Il padre, Ferdinando Rampi, esce a fare una passeggiata con il figlio di 6 anni Alfredo, chiamato Alfredino, nella campagna circostante. Alle 19 e 20, quando era il momento di fare ritorno, Alfredino chiede al padre di poter proseguire da solo verso casa, attraversando i campi; Ferdinando acconsente, ma quando arriva a casa intorno alle 20, si rende conto che il figlio non è ancora tornato. È l’inizio di un incubo durato 60 ore e che ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso, con la speranza che tutto potesse andare per il meglio, ma non fu così. Questa è la tragedia di Vermicino, più comunemente conosciuta come “la storia di Alfredino”.

Sono (Nome del narratore) e storie come questa hanno plasmato ciò che oggi è la Protezione Civile. Vi racconterò alcune di queste storie analizzando le cause che portarono alle catastrofi e come la società di allora, sia civile che politica, reagì. Il podcast che state ascoltando s’intitola “Proteggere” ed è prodotto dal Comitato di Coordinamento del Volontariato Organizzato di Protezione Civile della Città metropolitana di Milano.

“Dal punto di vista storico possiamo dire che è un episodio molto importante che ha anche dato frutti positivi, dal punto di vista personale i negativi superano di gran lunga i positivi perché io faccio il soccorritore. C’era un bambino intrappolato e io non l’ho preso”. Queste parole sono state pronunciate, in occasione di un’intervista a Fanpage.it del 2021, da Tullio Bernabei, lo speleologo soccorritore che per primo si calò nel pozzo artesiano in cui il piccolo Alfredino era caduto.

Un pozzo artesiano è un pozzo naturalmente effluente, ovvero un pozzo le cui acque sotterranee arrivano in superficie senza ausili meccanici. Queste strutture sono caratterizzate da una larghezza inferiore, ma una profondità maggiore rispetto ai pozzi freatici, ovvero quelli che richiedono l’ausilio di una pompa per l’estrazione dell’acqua.

Alfredino venne ritrovato all’interno del pozzo la cui apertura era stata coperta da una lamiera la sera stessa, alle 21, dal proprietario del terreno Amedeo Pisegna. Intorno alle 21:30 la famiglia allerta la polizia che accorre sul posto con unità cinofile. Alfredino viene localizzato intorno a mezzanotte: i lamenti del bambino provengono dal pozzo. Difficile capire a che profondità si trovi. Poco dopo arrivano da Roma anche i Vigili del Fuoco. Il pozzo è largo 30 centimetri e profondo 80 metri. Alfredino è bloccato a 36.

Quello che avvenne nelle ore successive è un garbuglio di eventi e azioni confuse. Tutti si mettono a disposizione per recuperare il bambino, anche rischiando la propria vita. Decine di esperti propongono diverse soluzioni.

Durante le prime ore di soccorso, viene calato un microfono nel pozzo così da poter parlare al bambino, per confortarlo e fargli capire che tutto andrà bene. Per ore il Vigile del Fuoco Nando Broglio cerca di tenere sveglio il bimbo e di non fargli perdere le speranze, raccontandogli delle storie, promettendogli di portarlo con sé su un mezzo antincendio dei pompieri, e instaurando con lui un rapporto di fiducia.

Viene tentato un primo salvataggio: i Vigili del Fuoco calano nel pozzo una tavoletta di legno così da fornire ad Alfredino un appiglio per poi issarlo ma, a 25 metri di profondità, la tavoletta si incastra a causa del restringimento del pozzo. Infatti, le pareti, irregolari nel diametro, presentavano asperità rocciose.

Poche ore più tardi, alle quattro del mattino, si attiva anche un gruppo di speleologi del Soccorso Alpino con l’obiettivo di raggiungere la tavoletta incastrata, rimuoverla, ed estrarre Alfredino dal pozzo. Dopo due tentativi falliti, l’allora comandante dei Vigili del Fuoco di Roma, Elveno Pastorelli decide di scavare un pozzo parallelo, e una galleria trasversale, in modo da raggiungere Alfredino e liberarlo.

Alle 8:30 prendono il via i lavori di scavo ma, solo 2 ore più tardi, si è costretti a proseguire a rilento; sotto un primo strato superficiale, il terreno è roccioso e difficile da scavare.

Il caso di Alfredino diventa di pubblico dominio. Da quel momento Alfredino entra nella vita degli italiani grazie alla Rai che, sul posto, racconta ogni istante in diretta televisiva. Un bambino a cui milioni di persone danno un volto grazie a quell’unica fotografia che lo ritrae magro, sorridente, con una canottiera a righe orizzontali.

Nel frattempo cresce anche la preoccupazione per la salute del bambino che, affetto da cardiopatia congenita, alterna silenzi a momenti di vigile partecipazione e si trova nel pozzo in gravissime condizioni da 21 ore. In migliaia intasano i centralini offrendo il proprio aiuto o suggerimenti per salvare il piccolo.

Trascorre il tempo e Alfredino è nel pozzo ormai da 40 ore. La trivella è ferma a 25 metri di profondità. Le condizioni di salute del bimbo iniziano a suscitare seria preoccupazione e i medici spiegano che non c’è molto tempo per sperare di portarlo fuori dal cunicolo ancora in vita.

Alle 16:30 arriva a Vermicino l’allora presidente Sandro Pertini che, facendosi largo tra la folla accorsa sul posto, è intenzionato a restare accanto ai familiari del bambino fino alla fine delle operazioni di soccorso.

Quasi 48 ore dopo e numerosi tentativi, i Vigili del Fuoco decidono di accelerare gli interventi e abbattere la parete che separa il pozzo artesiano dal tunnel scavato, così da raggiungere Alfredino da sotto la sua posizione e, afferrandolo, portarlo in sicurezza.

Entra nel tunnel Tullio Bernabei, il primo ad essersi calato nel pozzo subito dopo il ritrovamento, ora capo squadra. Guarda verso l’alto, ma il bambino non c’è. Allora guarda verso il basso e non vede nulla. Decide di legare una torcia a una corda che cala per un tempo indefinito finché non raggiunge il bambino che, a causa delle vibrazioni causate dalla trivellazione, era scivolato più in basso di altri 30 metri.

Si susseguono due volontari, di corporatura esile, che si fanno calare nel pozzo largo circa 30 centimetri: Claudio Aprile e Angelo Licheri. Quest’ultimo riesce a raggiungere Alfredino, gli parla e tenta di rassicurarlo, ma il bambino non risponde. Il volontario percepisce che Alfredino respira con difficoltà, gli pulisce la bocca dal fango, e cerca di fissarlo con un’imbracatura. Tuttavia, a causa di uno strattone della corda, la cinghia scivola fuori dalle braccia del bambino.

Alle 5:02 del 13 giugno Donato Caruso, uno speleologo di 28 anni, si fa calare e tenta di imbracare il piccolo nuovamente ma fallisce. Dopo un secondo tentativo, torna in superficie senza il bambino e con sé una notizia terribile: Alfredino è morto.

Giancarlo Santalmassi, giornalista del TG2, nell’edizione straordinaria dichiara: “Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all’ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi.”

L’11 luglio 1981, a 31 giorni dal suo incidente, il corpo senza vita di Alfredino Rampi viene recuperato dai minatori della miniera di Gavorrano. Sei giorni dopo, in presenza di una folla immensa, si svolge il funerale nella Basilica romana di San Lorenzo fuori le mura.

Nel cammino storico verso la creazione del Sistema di protezione civile, anche la tragedia di Vermicino ha rappresentato una fase cruciale per la consapevolezza dei limiti del sistema di soccorso e della necessità di un coordinamento più efficace delle forze coinvolte nella gestione delle emergenze.

Furono adottati tentativi frettolosi, senza un approccio metodologico e una orchestrazione dei soccorsi precisa e funzionale. Tutti davano il loro parere approssimativo sperando di poter essere utili, ma, col senno di poi, furono commessi molti errori da tutti.

Come nella tragedia dell’Irpinia, che vi abbiamo già raccontato nel precedente episodio di questo podcast, anche questo evento ha contribuito a stimolare il dibattito civile e politico, portando a una revisione della struttura operativa della protezione civile. Nel 1982 viene istituito il Ministro senza portafoglio per il Coordinamento della Protezione Civile – il primo incarico fu affidato a Giuseppe Zamberletti, già Alto commissario per la protezione civile – una figura simile a un commissario straordinario permanente, e del Dipartimento della Protezione Civile, creato nell’ambito della Presidenza del Consiglio e guidato da Elveno Pastorelli.

Ultimo aggiornamento

29 Settembre 2023, 07:44